Natale del Signore – 25 dicembre 2023
“Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2, 1-14)
Dio compie le sue promesse… le attese di Israele e dell’umanità intera non sono andate deluse. Il tre volte santo, colui che i cieli non possono contenere, colui che l’uomo non può vedere e restare in vita, colui il cui alito ha dato origine all’universo… entra pienamente nella nostra storia. “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito, in certo modo, a ogni uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato” (GS 22).Il Natale ci narra di un Dio assetato di comunione con l’uomo sua creatura.
Luca, con stupore limpido, descrive dei gesti semplicidi una madre che partorisce, avvolge in fasce e depone in una culla improvvisata, in una mangiatoia,il suo bambino. Il cuore pulsante della vita del mondo non è nei traffici politici ed economici dei potenti; il centro è in quel bambino “sulle cui spalle è il potere, il cui nome è Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della Pace” (Is 9,5).
“Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9,1). Quella luce che sorprende i pastori nella notte pian piano si irradia sulla terra tutta e soprattutto nel cuore di noi uomini e donne che questa nostra terra continuiamo ad abitare perché il nostro sguardo si posi su Colui che è nato per aiutarci a comprendere e a realizzare la nostra “umanità” secondo il “desiderio” di Dio fin dall’in-principio.
Si è fatto mani per alleviare le sofferenze di quanti incrociava sul suo cammino. Si è fatto prossimo e cura verso chi portava sulle sue spalle e nella sua carne il peso della disperazione e del dolore. Ha conosciuto l’incomprensione delle folle e pure quella di coloro che aveva chiamato a sé. Ha sperimentato come gli uomini fanno in fretta ad entusiasmarsi e altrettanto a dimenticare ciò che avevano promesso in un impeto di entusiasmo. Ha trasalito di gioia sentendosi accolto dai piccoli. Ha conosciuto il calore dell’amicizia e dell’accoglienza sincera. Ha invocato il conforto di una compagnia nella notte in cui tutto gli stava crollando addosso. Ha conosciuto l’amaro calice del rinnegamento di chi egli stesso aveva annoverato tra i suoi amici più stretti… e in tutto questo ha continuato a raccontare l’amore fedele e tenero del Padre che continua a chiamare ognuno di noi “figlio mio”… E noi abbiamo tanto bisogno di tenerezza!
Il Natale chiede di “vedere” gli uomini ed il cosmo in modo completamente “nuovo”; chiede di essere uomini “in modo diverso” da quello che il mondo ci suggerisce; chiede di trasformare le luci, che pure si accendono in questi giorni suggestivi, in luce vera dentro di noi e nel mondo in cui viviamo come credenti; chiede di essere capaci di “pagare un prezzo” per custodire e far brillare, umilmente e senza arroganze, la Luce che “veniva nel mondo per illuminare ogni uomo” (Gv 1, 9).
Da questo evento scaturisce una pace che l’uomo potrà costruire con quell’amore che è la via consegnata alla storia da quel Bambino nato a Betlemme; quel Bambino che è la visibilità della grazia di Dio, cioè del suo amore gratuito, che “ci insegna a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà” (Tt 2, 12). Ci insegna, cioè, ad essere umani!
L’inaudito del Natale non è soltanto che Dio si faccia carne come noi, ma che si comprometta definitivamente con ciò che in noi è più vulnerabile. Tutto ciò che in noi dice fragilità, debolezza, senso del limite lo fa suo e con questo ci invita a leggere questa realtà non più come una maledizione da cui prendere le distanze ma come dimensione fondamentale per una diversa comprensione di noi stessi… L’umano è da assumere fino in fondo e in verità se vogliamo che conosca la pienezza secondo la quale è stato pensato e voluto.
Assumere l’umano significa amare la propria personale vicenda, circoscritta in un tempo e uno spazio precisi, riconoscendola come terra santa da calpestare a piedi nudi.
Assumere l’umano significa attraversare con l’alfabeto dell’amore le ore della solitudine e della delusione.
Assumere l’umano significa restare fedeli alle persone, guardarle sempre con speranza anche quando ci restituiscono lo sguardo della sufficienza.
Assumere l’umano significa non rinchiudersi in uno spiritualismo che privilegia una dimensione intima e privata della relazione con il Signore ma accettare l’acre sudore di essere lievito che fermenta nella misura in cui scompare.
Assumere l’umano significa benedire il Signore per il tempo in cui ci è toccato di vivere, significa amare la vita con le sue danze e con i suoi gemiti.
Assumere l’umano significa credere possibile, anche in questo tempo tragico della storia, che “il lupo dimorerà con l’agnello”, che gli uomini “forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci e non si eserciteranno più nell’arte della guerra”.
Assumere l’umano significa fare nostra la fatica tenace e mai infeconda di “rinnovarci nello spirito della nostra mente e rivestire l’uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera” (Ef 4, 23-25).
Non spegniamo, allora, le luci e le lucine di Natale; non fuggiamo il caldo gioire della festa; non disprezziamo la commozione che sempre ci assale davanti al presepe, ma riempiamo queste cose belle, umane e calde della vera bellezza, della vera umanità, del vero calore che ci ha donato Gesù con il fuoco di quell’amore che nulla può spegnere.
Gigi Toma